Manifesto
Sulla città si fa quietamente notte
di vento a bande rapide e violente,
e scende sopra i tetti, contro le finestre,
nell’odore di solfuro, fin là in fondo,
al cascinale dirotto alla fine del corso,
tra le poche primizie in attesa di aprile,
marea di immondizie che rapidamente
rapidamente è accesa in fuoco
ma nell’intercapedine corre, squittisce una (voce),
sale su dalla strada, bruisce, riesce, di là dal muro
è un S.O.S., senza richiesta d’aiuto,
la risposta a un vagito, un invito all’impegno,
comandamento noto, liso manifesto
da attacchinare al buio in tutta la città:
ma tanto per sporcare intonaco e carte,
per poter superare, in un modo o nell’altro,
la notte.
(no, è una vecchia cantilena, scritta in -ia e in -a)
(la la la la) (che cos’è la poesia?) (ma ma)
*
Canto dei mercatari
Là, in fondo (ma dove) (in quale città), dove la via si apre
e dislivella, intendo, dove si moltiplicano i piani,
dico tra via Scarlatti (no, non quella, un’altra) (un’altra città)
e via Santhià, dove PRODUCI | CONSUMA | CREPA è scritto su un muro,
ma anche oltre, all’imbocco di via Baltea: giuro, è la paura
di un’infanzia (ladri) (stupratori) (gli occhi sulle spalle);
colpa di donne molto grasse, che fissano quelli magri
che guardano, a loro volta, qualunque donna passi…
(ma sempre, sempre accompagnati dalle rispettive madri)
…e la trave è nell’occhio. (Si tratta ovviamente di una metafora.
Gli occhi sono numerosissimi e di travi, al momento,
una sola è disponibile, per la crocifissione).
(A meno che a parlare non sia Polifemo: in questo caso,
l’occhio è solamente uno, ma può guardare tutto,
pecore e ladri, e accecarlo è la nostra segreta ambizione).
…ma di CREPARE, nessuno si cura. Così, per il momento, insomma,
per quello che conta, sotto lo sguardo della mamma
(si vende) (si compra) (si incula) (si ruba, anche) (si macella)
(si mangia carne umana, si è mangiati, su una mensa)
sempre, sempre, per puro amor di conoscenza
*
Canzone d’amore
Sono dunque già finiti i tempi,
l’alba è almeno sole meridiano sopra il condominio,
sulla giogaia dei tetti (la barriera, ancora),
e non c’è modo non c’è modo di tornare ai giorni
dell’età dell’oro – quando tu, per cortesia,
assistevi una terzana d’accatto,
sul letto breve della mia stanza:
insomma, «cara mamma»,
«non mi sento bene, qui in piazza»,
ecc. ecc.
(Riassunto: Sono mortale. Morirò.
Ma tu dolore che mi creasti,
e giorni dell’età dell’oro…)
*
EAT THE RICH
Satana, Satana, vediamo cose mirabili
di questi tempi: le notti si fanno lunghe,
e buie
(di questi tempi: bui) (di queste notti),
la città sembra farsi ancora più ampia,
da queste parti,
ancora più solo quello che torna
…e avrei preferito trascorrerla altrove,
in un paese migliore (questa solitudine)
ma la città è estremamente ampia, Satana (…e)
quelle strade
hanno un senso, quella zona: una direzione;
quelle strade
che portano nomi di «eroi» resistenziali,
Duchi degli Abruzzi, Vespucci, cristianucci,
Re (ucci ucci, Satana! Re), ma tutti, tutti puliti,
a rifondare la nostra città,
«senza più muri», ovverosia: «molta poesia»,
ma: «nessuna, nessuna periferia»
(…e avrei preferito vederli, quei muri, leggerci:
EAT THE RICH, Satana, nella tua grafia;
la città
avrei preferito fondarla più in là)
*
SIAMO FOTTUTI!
Dall’altra parte della strada e sulla schiena
di quel tale, un primo aprile (a carnevale)
(ogni scherzo vale), e poi, poco più in là,
nel sottopasso autostradale, in tutta la città:
«SIAMO FOTTUTI!» è scritto, cubitale, qua e là:
ecco la grande festa, insomma («…e non è presto?»)
(«e il manifesto…?»), è Pasqua, è in tavola l’agnello:
«Alla fine», cioè: «In questi giorni, e sulla strada»,
cioè: «Questi giorni sono la fine, di questi tempi»
(«Finalmente: era ora»), e «giuro: di là dal muro»,
ma anche: «Qui, in città» («dove dove») («qua, e là»)
la voce corre, non chiede aiuto («Ah, finalmente!»)
(«Era ora, sa?») («In verità, in verità»)
(la fine, vedi, è poco più in là)
Gioele Cristofari