Il migliore amico dell’uomo

Fotografia di Luna Lizzi

L’Erasmus lo stavo odiando. Un mese che stavo in Francia, tutto passato nella mia stanzetta, l’esatto opposto di quello per cui te lo vendono: gnègnègnè l’esperienza di vita, gnègnègnè cittadino del mondo. Quante puttanate, 5 mesi buttati in 9 metri quadri senza contatto umano. Alla fine sì, parli con la gente, ma comunichi in una lingua non tua con uno che ti risponde in una lingua non sua, entrambi con la consapevolezza che non vi rivedrete mai più. Superficialità su superficialità che si somma ad altra superficialità. Quante puttanate e quanta retorica sulla generazione Erasmus, che trappola e che spreco di tempo e soldi. L’Erasmus assieme a tutta la criminale retorica del viaggiare. Io mi ero pure messo degli esami fittizi, quindi ero lì solo per cazzeggiare, rilassarmi e fare “esperienza”. Madonna quanto fa schifo anche solo la parola, già quando ti vendono qualcosa dicendoti che è un’esperienza dovresti capire che ti stanno inculando.
Era passato un mese e non avevo ancora amici, non mi ricordavo neanche un nome, passavo giornate intere senza uscire dalla mia stanza. Anche perché era febbraio, e faceva un freddo porco. Mi ero giusto girato un po’ Parigi, ma comunque da solo ti rompi i coglioni.
E la cosa peggiore è che devi fingere con tutti che stai facendo (scusate la parola) l’esperienza della vita. Non puoi dire che è una merda, perché per tutti l’Erasmus è una cosa che PERDINCI CIOÈ È UN’ESPERIENZA CHE SCONVOLGE LE FONDAMENTA STESSE DEL TUO ESSERE CHE CIOÈ DOPO UN’ESPERIENZA DEL GENERE NON SARAI MAI PIÙ COME PRIMA VEDRAI PER SEMPREIL MONDO CON OCCHI DIVERSI. E quindi ogni tanto fermi un passante, avendo cura che sia il più esotico possibile, e ci fai un videomessaggio da mandare alla famiglia. Un’altra volta fai un selfie con la tua vicina d’appartamento e poi lo mandi agli amici, così almeno quelli pensano che ci hai scopato.
Mio nonno stava male. Quando l’ho salutato prima di partire, tutt’e due sapevamo che non ci saremmo più rivisti. La malattia è andata avanti per due anni, ha distrutto la famiglia fra litigi, divorzi e altre deflagrazioni. Lui ha mantenuto la lucidità per quasi tutto il tempo. Giusto negli ultimi mesi, quando oramai non poteva più alzarsi dal letto, cominciava a non distinguere più i sogni dalla realtà. Ogni tanto diceva di essersi alzato la notte e di essere andato a passeggiare fuori, di aver visto la luna, che era enorme. Capiva l’inganno solo quando ne parlava con noi, soprattutto mia nonna non perdeva occasione per cazziarlo con la classica comica crudezza degli anziani abruzzesi. A quel punto mio nonno riprendeva contezza e la vedevi la delusione nei suoi occhi, io mi incazzavo pure per questa cosa. Fateglielo credere, dicevo, tanto che cambia, però avevano paura che perdesse totalmente lucidità e che cominciasse a staccarsi i punti.
In ogni caso, quando ci siamo salutati sapevamo che quello era un addio che nessuno aveva l’indelicatezza di dare. Però alla fine siamo uomini e siamo abruzzesi, e poi mio nonno aveva tanti nipoti, quindi non è stata così straziante come scena.
La mattina del 12 febbraio mi ha chiamato mamma, mi ha detto che non c’era più molto tempo, e allora ho fatto finta che avessi un sacco da fare ma che, nonostante questo, avrei preso il primo aereo. Ci sono anche gli scioperi dei treni, quindi andare all’aeroporto di Beauvais, che è l’aeroporto di Parigi per il volo Ryanair, è un casino. C’è un Blablacar, una coppietta progressista, mi obbligano a parlare di ricette quando in realtà non vorrei parlare, ma forse hanno paura che se non mi intrattengono io possa dargli una recensione negativa. Allora parliamo di cucina, di come si fa la pasta, probabile la carbonara, dico cazzate perché non so cucinare. Mi raccontano del perché vanno a Beuvais, storia che non ricordo. Mi danno 5 stelle: “Qualche scambio di ricette e tante risate! Alessandro è davvero un passeggero formidabile!”. Gliene do 5 anch’io, commentando solo con un “grazie di cuore” in francese, che non ricordo come si scrive ma che comunque non richiede grande impegno e spero li faccia pure rimanere contenti. Immagino non pretendano niente di più elaborato da uno straniero.
Arrivo all’aeroporto alle 9 di sera, ho il volo la mattina dopo alle 7 e mezza. C’è una ragazza molto carina, avrà qualche anno più di me, fa la steward. Odia il mondo, pure sé stessa, mentre gira per l’aeroporto ha l’aria di una che sta lì lì per mettersi a piangere. Sembra che non dorma da giorni, e che non veda la luce del sole da anni. Mi accampo col computer, ho anche l’hard disk con i film, mi rubo pure le panchine più comode dell’aeroporto. A Beuvais ce ne sono solo due, il resto è concepito apposta per non farti stare comodo, è un posto progettato per farti levare dai coglioni nel minor tempo possibile.
Mi guardo 500 Giorni Insieme, ma in francese. Non ci capisco un cazzo, però Gordon Lewitt mi è simpatico, quindi alla fine me lo faccio andare bene. Spero che il sonno mi prenda presto, mi sono pure messo la mascherina con i tappi. Dormo con lo zaino e la valigia legati a un piede e a un braccio, così se qualcuno prova a rubarmi qualcosa me ne accorgo.
Verso le 2 e mezza si avvicina la steward. La biondina che sembra non aver mai visto il sole da quando è nata ha sempre quell’espressione fra lo stanco e il volersi mettere a piangere.
In aeroporto siamo rimasti solo io e lei, penso sia venuta per un po’ di compagnia. Magari sarà una notte che ricorderò dopo tutto. Forse vuole accovacciarsi accanto a me, io lo vorrei, lei però mi fa segno di andarmene. Dice che la normativa è cambiata e che non posso stare lì. Le spiego che non ho posto dove andare, lei mi guarda con l’espressione di chi fa quella discussione ogni santo giorno della sua vita e, con coerente automatismo, mi passa un depliant con un elenco di alberghi e di bus che mi ci possono portare, ce n’è uno che passa in 10 minuti.
Mi fermo ad aspettare il bus, fa un freddo porco. Ci sono altre due ragazze, provo a chiedere in francese se anche loro sono rimaste fregate con l’aeroporto. Non capiscono, una di loro è nera, provo a capire la nazionalità, poi vedo che si consultano fra loro, capisco che sono italiane, le mando affanculo, ridiamo un sacco. Ci presentiamo, mi dicono che vanno da tutt’altra parte. Ci scambiamo anche i numeri, non ci rivedremo mai più, non ricordo neanche come si chiamano.
Sul bus siamo solo io, l’autista e una coppietta di svizzeri. Hanno qualche anno meno di me, scherzano guardando qualcosa sul cellulare mentre le luci del bus pian piano vanno via. Avrei voglia di addormentarmi ma non posso. Il ragazzo bacia la fidanzata sul collo, lei non se l’aspetta, forse non è abituata a quei gesti d’affetto, forse il fidanzato è uno di quelli belli e stronzi. Quando ricambia le fusa del ragazzo, gli occhi della ragazza vanno all’indietro, come quelli delle asiatiche nei film porno. Rifletto sul fatto che se avessi la possibilità ammazzerei lui per stare al suo posto anche solo per quella sera. Mi arriva il messaggio di mio padre, mi dice che nonno è volato in cielo, oppure mi dice che non c’è più o qualcosa del genere. Non dice esattamente che è morto, non so nemmeno perché non mi chiama, forse è troppo tardi e ha paura di svegliarmi.
Ci penso davvero, di andare dalla coppietta di ragazzini, mettermi a piangere, magari fargli pena. Non dico che ci esca un threesome, ma almeno ci facciamo compagnia. Arrivo al mio albergo, si chiama F29. Alla reception c’è una nera in sovrappeso che è lentissima in ogni cosa che fa. Io vorrei solo dormire, e penso che dalla faccia si veda che ho avuto una giornata di merda. Ma una receptionist nera in sovrappeso che fa il turno di notte in un ostello di merda a Beuvais non è certo lì per farsi impietosire. Noto una stampante, le chiedo se posso stampare il biglietto online, almeno non dovrò alzarmi così presto domattina.
Ci mette 2 minuti per fare tutto, facendomi aspettare un’ora. 40 euro per la stanza, 1 euro e 50 per la stampa, che dubito si paghi, penso se li intaschi lei. Glieli avrei lasciati volentieri di mancia se fosse stata più gentile. No, forse non glieli avrei lasciati comunque.
Entro nella mia camera, che non ha niente di interessante da descrivere, mi metto a letto, non dormo. Esco a fumare, passeggio per Beauvais, è una merda.
Al parco mi metto un po’ a guardare le stelle. Fa un freddo della madonna. Durante la notte, ho notato questa cosa anche a Parigi, non c’è più nessuno in giro, manco gli spacciatori.
Sarà perché poche settimane prima c’è stato l’attentato di Charlie Hebdo.
Mi vorrei ammazzare, ci penso, prima però vorrei tornare in Italia perché i francesi mi stanno troppo sul cazzo, non voglio dargli soddisfazione.
Rileggo il messaggio di mio padre, piango un po’, ma non uno di quei pianti a dirotto con raffreddore annesso, un pianto molto cinematografico, con la lacrima singola che sembra frutto del mentolo.
Qualcosa si muove davanti a me, mi spavento a morte. Un cane che mi salta addosso, ma non mi vuole sbranare. Anzi, ha pure il guinzaglio, è molto amichevole e pare volere solo le coccole. E forse è questo il senso. Per quanto la vita possa andare male non sai mai nel mondo dov’è che puoi trovare l’amore, è questo il messaggio che…
Luce. Una torcia mi acceca. Il proprietario del cane si avvicina, è un carabiniere, mi intima di vuotare le tasche. Mi erano rimasti giusto due grammi.

Alec Bogdanovic

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